La storia

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Origini della Citta

"Storia, arte, architettura sacra, tradizioni popolari, ma anche scorci paesaggistici di incantevole bellezza, e soprattutto la cordialità della sua gente, fanno di Sant'Angelo una terra suggestiva, in grado di regalare forti emozioni e ricordi indelebili nella mente e nel cuore del visitatore che voglia scoprire il paese attraverso i vicoli e le scalinate del centro storico o le antiche "trazzere" delle sue verdi borgate."

Adagiato su una lussureggiante vallata ricoperta di ulivi, aranci e noccioli a 314 metri dal livello del mare, Sant'Angelo è una gemma dei Nebrodi, ricco di storia, arte e cultura.

La fondazione dell'attuale centro urbano si colloca storicamente in epoca normanna, attorno al monastero basiliano di S. Michele Arcangelo, di epoca bizantina.  Nel 1084 il Conte Ruggero, dopo aver debellato i Saraceni, concesse in feudo gran parte dell'attuale territorio, compresi i casali greci di Lisycon (l'attuale contrada Lisicò, posta dirimpetto al paese) Anzan e Tondonconòn.

L'abate fu quindi il primo e l'unico signore feudale della Terra di S. Angelo, sino all'abolizione del feudalesimo in Sicilia con l'emanazione del Regio Decreto del 1812. La nobiltà che ne improntò la storia nei secoli successivi fu legata all'Abbazia ed amministrò o godette in "gabella" le terre di essa, come del contiguo feudo di S. Papino, in potere della mensa vescovile di Patti. Tra questi nobili si distinsero gli Angotta e gli Amato, di origine spagnola, le cui insegne araldiche fregiano la torre di Piano Croce, la quale nel 1614 risultava in proprietà di don Grandonio Angotta Amato, essendo stata ricostruita dopo i terremoti del sec. XV sulla base di un'altra, preesistente alla dominazione araba, donde il toponimo Calabrò (da qal'at = rocca, castello) contrada in prossimità della quale essa si erge, sulla vecchia strada provinciale che conduceva al paese.

Il fortilizio presenta gli elementi costitutivi del castello medioevale: cinta, mastio e palazzo. Medioevali sono pure le caratteristiche architettoniche della torre o mastio, munita di ponte levatoio, cioè la merlatura, le piombatoie o caditoie, destinate al getto verticale di proiettili di ogni sorta, e le saettiere, che servivano agli arcieri.

La presenza a Sant'Angelo dei monaci della regola di San Basilio e di numerosi altri ordini monastici, richiamati dalla presenza dei basiliani,  favorì un notevole svilippo dell'architettura religiosa. A partire dalla prima metà del 1500, vi eressero dei cenobi, i domenicani nel 1546, i minimi nel 1582, i minori osservanti nel 1596 e le clarisse nel 1640. Oltre ai resti della chiesa conventuale dell'Abbazia basiliana, infatti, sono ancora tante le presenze artistiche e architettoniche che Sant'Angelo conserva a testimonianza di una storia millenaria.

Nel cuore del paese, nella piazzetta S. Maria, al termine della via Umberto I, sorge la Chiesa Madre. A croce latina, con tre navate, fu ricostruita nel 1534 al posto di una di stile romanico, testimoniato da una cappella, venuta alla luce durante lavori di restauro, viene definita dallo storico Vito Amico "la prima e la più antica, bella di magnificenza non volgare e di elegante fabbrica".

All'interno pregevoli opere d'arte, tra cui un organo settecentesco di Annibale Lo Bianco, un quadro dell'Addolorata di ispirazione caravaggesca, dei paliotti del XVIII sec., ricamati in seta e fili d'argento e d'oro.

Nell'abside si può ammirare un grande altare maggiore barocco in marmo con intarsi e fregi, nella cripta veviva custodito il tesoro, cioè paramenti finemente ricamati, provenienti in gran parte dalla dotazione dell'Abbazia, e arredi, tra cui, preziosissimi, un incensiere e una navetta d'argento, cesellati nel 1601 da Vincenzo d'Angioia. II "tesoro" dei monaci basiliani e delle altre parrocchie e chiese conventuali del paese attualmente è in esposizione nella chiesa del SS. Salvatore, sede del Museo diocesano di Arte Sacra.

Nella prima cappella a destra della Chiesa di S.Maria, tra l' altro,  si notano due sarcofaghi marmorei, uno degli Angotta-Amato e l'altro dei Natoli, da cui discende il Marchese Vincenzo, quivi nato nel 1690, giudice di Gran Corte Criminale dal 1731 al 1742 e presidente del Tribunale del Real Patrimonio nel 1758.

Sotto il transetto si apre un arco a sesto acuto (cosiddetto Cappelluni), che consente il collegamento tra la via Principessa di Piemonte e la via Vittorio Emanuele.

Da qui, lungo vecchie vie e vicoli suggestivi, tra case con anditi e giardini che odorano d'antico, si perviene alla seicentesca Chiesa di S. Filippo e Giacomo, nella parte bassa del paese, attualmente chiusa per restauro.

Un bel selciato policromo, con pietra locale cavata dalla contrada Vetriolo, introduce al tempio di stile barocco, ove si trovavano numerosi quadri, in particolare quello della Pentecoste, e sculture, tra cui un Ecce Homo in alabastro e il gruppo marmoreo dell'Annunciazione, di scuola gaginiana, alla quale è attribuita pure la statua in marmo di Nostra Donna, venerata nella Chiesa di S. Maria del Giardino. Di rilievo anche l'organo e il pergamo del '700.La Cappella dell'Annunciazione conteneva anche due sarcofaghi della nobile famiglia Amato, cui appartenne don Filippo, Principe di Galati, quivi nato nel 1590 da Bernardo e da Costanza Angotta. Contro di lui, tra i più potenti e facoltosi del suo tempo (senatore di Palermo e capitano di giustizia della stessa città) si rivoltarono nel 1647 i naturali di S. Angelo, angariati dalla tassa sulla seta. A lui si deve verosimilmente la costruzione della Chiesa in oggetto e la fondazione dell'Ospedale, oggi Opera Pia - Casa di Riposo per Anziani -"Cortese-Capizzi -Basile" con l'annessa chiesetta dell'Addolorata (pregevole il soffitto in legno, di stile barocco).

Vi sono ancora tracce di quel tempo fastoso, oltre che nelle costumanze gentili, anche nell'edilizia del centro storico.

Sulla piazza Vittorio Emanuele, alberata attorno al monumento ai caduti, prospettano i palazzi gentilizi con portali scolpiti in arenaria e ringhiere in ferro battuto, testimonianza dell'esercizio di arti e mestieri, ancora fiorenti. Vi si affaccia anche la prestigiosa sede del Circolo "Il Sole", fondato nel 1860.

Sono resistite all'incuria del tempo le chiese conventuali, ad eccezione di quella di S. Chiara, adibita a teatro, con un bellissimo soffitto a cassettoni in legno scolpito. La vicina Chiesa di S. Domenico (il convento è stato destinato a palazzo municipale) è impreziosita, nell'abside, dagli stucchi di Aloisio Piscott (1779), della scuola del Serpotta e da affreschi. Ai lati dell'altare maggiore, su cui campeggia una statua in bronzo di S. Domenico, si notano due sarcofaghi della famiglia Angotta.

Gli Angotta, primeggiarono nella Terra di S. Angelo, ricoprendo le cariche di proconservatore e di giurato. I loro sarcofaghi barocchi arricchiscono anche la Chiesa di S. Francesco, cui si perviene arrampicandosi lungo la salita omonima. Vi si accede da un prostilo con colonne monolitiche in arenaria, posto alla sommità di una gradinata acciottolata. All'interno si ammira, oltre all'antica famosa pittura raffigurante S. Maria degli Angeli, opera di Antonio Catalano il Vecchio, la meravigliosa scultura lignea del Crocifisso, eseguita nel 1644 da Frà Innocenzo da Petralia. L'annesso chiostro, semidiruto e in parte incorporato in un fabbricato civile, è oggetto di lavori di restauro e nel breve termine sarà fruibile dalla comunità santangiolese.

Di grande importanza architettonica è la settecentesca chiesa del SS.Salvatore, recuperata dopo circa ottant'anni, a tre navate, con colonne corinzie, cui si accedeva da una sontuosa scalea con balaustra in pietra. All'interno una preziosa statua in marmo di  S.Maria del Lume con bassorilievi, del sec.XV, attribuibile ad un seguace di Francesco Laurana.

Nel centro urbano si trovano anche la chiesa S. Nicolò, con facciata rinascimentale e arredi preziosi, chiusa al culto e allo stato in fase di restauro, e quella conventuale di S. Francesco di Paola, anch'essa inagibile, ad unica navata, con portale in stile rinascimentale.

Alla sommità del paese è possibile ammirare i resti dell'Abbazia basiliana, oggi cimitero comunale a seguito delle leggi eversive. Di essa avanzano solo il campanile ed il chiostro, in cui sono state purtroppo allogate le cappelle gentilizie. Sul posto è stata riportata l'antichissima statua di S. Michele, di scuola veneziana.

Pare che il cenobio esistesse sin dal VI sec. d.C., tanto vero che il privilegio del Conte Ruggero del 15 aprile 1092, confermativo di quello del 1084, nel concedere il territorio di S. Angelo in feudo all'Abate, si riferisce ad un dominio preesistente, di data antica (secundum quod ab antiquo tempore tenebat et possidebat).

Il convento, di rito greco, faro di cultura e di civiltà, custodiva una preziosa biblioteca e fu, verso la metà del 1700, sede di una Dieta basiliana. Il rito greco rivive annualmente nella suggestiva funzione del Battesimo di Gesù con la benedizione dell'alloro, che si celebra il 6 gennaio nella ricorrenza dell'Epifania.

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